Lu fumma beli nui con l’asu dal Valdui

Lu fumma beli nui con l’asu dal Valdui

Manca ancora circa un mese alla Fiera di San Martino quando si saprà se avremo o meno il nostro bel Carnevale. Anche dall’altra parte dell’Atlantico la curiosità è palpabile.

È indelebile in me il ricordo di un carro allegorico, il Sogno Polare, che realizzammo nella mia tabina “La Bomba”. Fu un gran lavoro d’equipe, tabinat e fidanzate. Ogni sera riuniti a preparare le migliaia di roselline di carta che poi sarebbero state montate sulla struttura di un rimorchio, trainato da un trattore. Sfidammo i rigori dell’inverno inventandoci una banda di esquimesi che, al momento di arrivare in Piazza Italia, usciva dall’igloo e suonava “When the saints go marchin in”, io col banjo.

Con i nostri costumi, affittati a Milano, stavamo al caldo. Sul trono, in alto, la Regina dei Ghiacci, Rezy Bot, salutava le masse, sorridente. Arrivammo terzi. Non ricordo chi vinse. Ma il premio più grande, per me, sono state quelle settimane di frequentazione, di allegria all’interno della Bomba, tagliando e  intrecciando le strisce di carta bianca e assicurando le roselline con del sottile filo di ferro.

Quest’anno passerà la Santa Cecilia suonando l’inno del nostro carnevale “E viva al Kalrlavé e ki ka lu sa fe. Lu fumma beli nui con l’asu dal Valdui” per annunciare la festa più allegra dell’anno?.

Vivevo in via Catulo, esattamente dirimpetto al cortile del Valdui e, da piccolo, tentavo spesso di ascoltare se, dall’altra parte di quel portone in legno dipinto di un verde sbiadito col tempo, riuscivo a udire almeno un raglio del famoso “asu dal Karlavé”. Niente, mai. E, nella mia beata innocenza, mi chiedevo: “Ma se l’asino non c’è più, adesso come faranno a fare il Carnevale?”.


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