Messaggeri rock della Buona Novella
Esponente di punta del prog-rock italiano, la Premiata Forneria Marconi è stata una delle poche formazioni nostrane a imporsi in America, dove divenne sinonimo di “spaghetti rock”. Storia di una lunga avventura iniziata in piena era beat e proseguita fino ad oggi all’insegna di continui cambi di line-up
La Premiata Forneria Marconi è stata la band più celebre del progressive italiano e l’unica a ottenere un discreto successo in ambito internazionale, soprattutto negli Stati Uniti. Nell’eterogenea evoluzione del suo percorso musicale, la Pfm ha saputo combinare ritornelli quasi “pop”, improvvisazioni di stampo jazzistico e composizioni di attitudine classicheggiante. In più, ha aggiunto quel pizzico di melodismo, dal sapore tipicamente mediterraneo, che ha contribuito a rendere la sua formula originale rispetto ai modelli prog d’oltre Manica.
Il primo embrione della futura Pfm si forma negli anni Sessanta, in pieno periodo beat, ne I Quelli, formazione in cui si alternano Antonio “Teo” Teocoli e Pino Favarolo, entrambi cantanti e chitarristi, il batterista Franz Di Cioccio e il bassista Giorgio “Fico” Piazza. In seguito, si aggiungono il tastierista Flavio Premoli e altri due chitarristi: Alberto Radius e Franco Mussida, detto “Yoghi”. Grazie alle loro continue esibizioni dal vivo, caratterizzate da una particolare cura delle sezioni musicali, I Quelli si distinguono immediatamente nel panorama beat italiano, con la pubblicazione di numerosi 45 giri per la Ricordi, costituiti per la maggior parte da versioni italiane di canzoni già composte ed eseguite da artisti stranieri: “La bambolina che fa no no no” e “La ragazza ta-ta-ta”, entrambe di Michael Polnareff; “Per vivere insieme”, versione italiana di “Happy Together” dei Turtles; “Tornare bambino”, ossia “Hole In My Shoe” dei Traffic; tra gli altri singoli vanno ricordati “Pensieri” (Nice), “Hip Hip Hip Hurrah” (1910 Fruitgum Co.), “Questa città senza te” (Tremeloes) e “Lacrime e pioggia” (Aphrodite’s Child). Da segnalare in questo periodo anche le importanti collaborazioni in studio con Mina, Celentano, De André e Battisti.
La storia della band, però, è subito segnata da cambiamenti determinanti: dopo la dipartita di Teocoli, destinato a una brillante carriera come cabarettista/comico, e di Alberto Radius, che approda nella Formula Tre, nell’estate del 1969 il gruppo ingaggia un musicista di grande spessore, con il quale nasce un’immediata intesa: Mauro Pagani. Abbandonata la sua band (i Dalton), Pagani, che suonava strumenti classici come il violino, il flauto e l’ottavino, imprime subito un’impronta fondamentale alla formula del gruppo, contribuendo insieme a Mussida a un drastico cambio di genere. Dal beat, infatti, l’interesse si sposta verso il progressive di matrice britannica, capitanato da band come King Crimson, Yes e Jethro Tull. L’improvvisazione e le lunghe suite prendono così il posto delle brevi canzoni degli esordi. I Quelli, nel frattempo, divengono i Krel e inaugurano una stagione di duro lavoro, con sessioni di registrazione di otto ore consecutive. Di Cioccio entra anche per pochi mesi nella formazione degli Equipe 84, con i quali partecipa anche al Festival di Sanremo.
Solo alla fine del 1970, Franco Mussida, Flavio Premoli, Franz Di Cioccio e Giorgio Piazza danno ufficialmente vita alla Premiata Forneria Marconi (Pfm), dal nome da una pasticceria di Brescia situata vicino agli studi nei quali i nostri si recavano a fare le prove. Dopo diversi contrasti, i quattro decidono di lasciare la Ricordi, ottenendo presto un contratto con la Numero Uno di Lucio Battisti e Mogol e con il manager Franco Mamone, grazie all’ottima reputazione acquisita per la loro abilità tecnica. Nel 1971, la Pfm segue, nei tour italiani, diverse band autorevoli del periodo come Yes, Procol Harum, Black Widow e Deep Purple.
Ispirata dai King Crimson, la Pfm registra quello che diventerà il suo grande cavallo di battaglia: “Impressioni di settembre”, una suggestiva ballad con un testo scritto da Mogol e svariati spunti progressive, marcati dall’impiego del moog, strumento introdotto per la prima volta in Italia poco tempo prima. Gli accordi semplici, suonati dalla chitarra acustica, delineano un’atmosfera delicata e coinvolgente, soprattutto nelle strofe; il ritornello, invece, è più acceso, con l’apporto del memorabile arrangiamento del sintetizzatore. La poesia che traspare dalle parole di Mogol non fa che accentuare l’epica melodia del brano, che resta a tutt’oggi un evergreen del rock italiano.
“Impressioni di settembre” trascina al successo Storia di un minuto, primo album della Pfm, pubblicato nei primi mesi del 1972. Le sette tracce, scritte tutte dal duo Mussida-Pagani, sono costruite su strutture tipicamente progressive in cui prevale l’aspetto della composizione classica, specie nella seconda parte della scaletta. Un progressive barocco, a volte medievale, e che ricorda vagamente i Genesis di “Nursery Crime”, ma, rispetto ai modelli britannici, innesta una vena melodica e influenze musicali di stampo mediterraneo. Unico punto debole, il canto, che patisce l’assenza di una vera e propria “voce”, ma viene adeguatamente sostenuto da arrangiamenti ricchi, anche se mai troppo ridondanti. “Impressioni di settembre” è preceduta da un breve pezzo strumentale (“Introduzione”), caratterizzato da sottili cori vocali su una base di chitarra acustica, prima, e da un riff di chitarra elettrica all’incalzare della batteria, poi. Tra le tracce svetta anche “E’ festa”, una sorta di “tarantella progressive”, anch’essa segnata da un virtuoso riff di moog, ma sopra una struttura hard-rock; le variazioni di tempo sono numerose, con uno spontaneo passaggio dal rock più duro a forme più classiche, forgiate dalle chitarre acustiche e dal delicato flauto di Pagani. E’ proprio questo strumento, insieme a violino, ottavino e clavicembalo, a donare una forte ventata di classicismo al progressive degli esordi della Pfm. La seconda trance del disco presenta una ancor più marcata attitudine classicheggiante, in un continuo susseguirsi di formule sonore differenti.
La sinfonica “Dove…Quando…” è suddivisa in due parti: la prima è una fiaba cantata di straordinaria dolcezza, introdotta dal mellotron di Premoli e assecondata da chitarre acustiche, flauto, clavicembalo e mandoloncello; la seconda riprende il medesimo tempo, dapprima con l’organo di Premoli e il violino di Pagani, successivamente scatenandosi in una elegantissima e classica esecuzione di pianoforte. Un esperimento ripetuto anche nell’altro singolo di successo, il genesisiano “La carrozza di Hans” che, partendo da una ballata in cinque quarti, si scatena poi in un magistrale assolo di chitarra (reminiscente dei King Crimson di “21st Century Schiziod Man”) e in una brillante improvvisazione jazz-prog, con il violino di Pagani a disegnare le classiche “variazioni sul tema”. Il pezzo, scritto da Mussida durante un viaggio in camioncino tra Torino e Milano, vince il Festival di Avanguardia e Nuove Tendenze di Viareggio, e viene inciso come lato B del singolo “Impressioni di settembre”.
Chiude il disco “Grazie Davvero”, uno degli episodi più sperimentali del lotto, in cui una dolce chitarra acustica detta la linea melodica principale, accompagnata da un variopinto mellotron, che simula un’orchestra di ottoni.
Storia di un minuto è uno dei massimi capolavori del rock italiano ed è l’album che lancia in orbita la Pfm, portabandiera di una scena progressive tricolore che annovera gruppi quali il Banco del Mutuo Soccorso, le Orme, gli Osanna, gli Area, i New Trolls.
Alla fine del 1972, esce Per un amico, disco gemello del primo, seppur con qualche rilevante differenza. La scaletta è costituita da cinque brani in versione estesa. Pagani stavolta firma tutti i brani insieme al duo Mussida-Premoli. Gli aspetti classici, accentuati dal flauto e dal violino, sono qui lievemente attenuati, a causa del maggior utilizzo dei sintetizzatori, che avvicinano la musica della Pfm a quella di Emerson, Lake & Palmer: un progressive più distaccato, ma tecnicamente solido; le parti cantate, avvolte nelle più convenzionali forme della canzone, sono sempre presenti, soprattutto in “Via di qua”, “Per un amico” e “Il banchetto”; “Generale” sfoggia una intro festante presto seguita da una marcetta di albionica memoria; nel complesso, si ha un considerevole ampliamento delle mutazioni ritmiche, spesso eseguite in tempi dispari, e dei momenti strumentali. Da segnalare soprattutto i suoni dell’ouverture “Appena un po’” (con una trama più soffice costruita sul trio flauto-chitarra-clavicembalo e un più robusto refrain di tastiere che riporta dalle parti di “Impressioni di settembre”) e dell’idilliaca “Geranio”, con una brillante esecuzione prima del piano e poi del violino e una lunga coda conclusiva. Nel complesso, Per un amico conferma le buone intuizioni del predecessore, anche se, nel complesso, appare leggermente meno a fuoco.
Il successo dell’album, comunque, è eccezionale. Il 20 dicembre del 1972, lo stesso Greg Lake assiste alla presentazione dal vivo del disco al PalaEur di Roma, e ne rimane esterrefatto. A questo punto, la band si trasferisce a Londra e firma un contratto con la Manticore, la casa discografica di Emerson, Lake & Palmer. All’apice del successo, la Pfm riesce a togliersi un’altra soddisfazione quando Pete Sinfield, magico paroliere dei King Crimson, scrive i testi dell’album Photos Of Ghosts, che racchiude pezzi in inglese tratti dai primi due lavori. Anche grazie a questa mossa, la band si affaccia sul mercato internazionale, ottenendo considerevoli riconoscimenti di critica e di pubblico. Proprio in quel periodo viene adottata ufficialmente, per la prima volta, la sigla Pfm, a causa della difficoltosa pronuncia dell’intero nome (anche se la sigla si poteva già scorgere nella copertina di Storia di un minuto). Eppure, una certa diffidenza nei confronti della band si era inizialmente manifestata in Inghilterra proprio a causa dell’origine italiana, considerata quasi incompatibile con la tradizione del rock internazionale. La sera del 24 marzo del 1973, all’ ABC Fulham Theatre, alcuni critici inglesi affermarono: “Non sono niente male questi musicisti. Il problema è che sono italiani”. Dovranno ben presto ricredersi. Il successo della Pfm, infatti, si estende in tutta Europa e, a sorpresa, l’album entra addirittura nella Billboard Chart americana, traguardo difficile da raggiungere anche per una rock band inglese. Pagani, che si rifaceva a personaggi come Ian Anderson e Darryl Way, viene ribattezzato “Paganini”.
La band, però, cambia ancora pelle. Alla fine del 1973, Giorgio Piazza viene sostituito con Jan Patrick Djivas, di origini greche, già bassista degli Area, e con il quale viene registrato, a Londra, L’isola di niente. Il disco sarà tradotto come The World Became The World per il mercato internazionale, con testi in inglese a cura di Sinfield. Tra le cinque tracce, spicca soprattutto la title track (che diverrà “The Mountain” nelle versione in inglese), una lunga suite (undici minuti), introdotta da cori dall’aspetto sacrale che si impenna su una batteria inesorabile e una interpretazione vocale dalle forti tinte teatrali. Degna di nota è anche “Dolcissima Maria”, una spettacolare ballata colma di soavità, realizzata per gran parte con voce e chitarra acustica, ma in cui sono determinanti le parti strumentali impreziosite dal flauto. Da ricordare, inoltre, la briosa danza di “La luna nuova” (sulla falsariga di “E’ festa”) e il tour de force jazz-rock marcatamente chitarristico dello strumentale conclusivo, “Via Lumiere”.
La Pfm intraprende per la prima volta un tour oltreoceano: in Canada e negli Stati Uniti, suona come spalla per personaggi come Santana, Beach Boys, Poco, Frank Zappa, Herbie Hancock, Eagles e altri ancora. La critica americana, divisa tra scetticismo e ammirazione, conia per la Pfm il termine “spaghetti-rock”.
Nel 1975, l’organico del gruppo si amplia con l’ingresso di Bernardo Lanzetti, vocalist degli Acqua Fragile, nonché una tra le migliori voci della scena rock italiana del periodo, insieme a Demetrio Stratos (Area). Lanzetti viene preferito a Ivan Graziani, perché la sua voce è ritenuta più consona alle composizioni dure e dirette dell’album che dovrà uscire, a differenza di quella del cantautore abruzzese, più adatta invece alle ballad. Chocolate Kings, totalmente scritto in inglese, rievoca ancora le sonorità dei Genesis, ma rinunciando quasi completamente alle atmosfere trasognate e romantiche degli esordi. Snobbato negli Stati Uniti, il disco ottiene un considerevole riscontro in Giappone, dove la Pfm condurrà una esaltante tournée e dove rimarrà sempre forte l’apprezzamento per il progressive italiano. I testi sono composti da Pagani, in collaborazione con Marva Jean Marrow: quello della title track rievoca l’arrivo in Italia delle truppe americane che lanciavano la cioccolata dai carrarmati (“Quando sono nato loro vennero a liberarci/ a curare le nostre ferite di battaglia/ con le foto della grande, grassa mamma/ i re di cioccolata arrivarono…”). Proprio questi versi, insieme alla copertina, raffigurante una bandiera americana accartocciata, e alla partecipazione della band a un concerto a Roma per le minoranze etiche, Olp inclusa, creeranno a Pagani e soci qualche problema “politico” con i discografici statunitensi. Musicalmente, in Chocolate Kings emergono soprattutto l’Hammond e il synth di Premoli, che ammantano di forme prog la coda finale di “From Under,” e le delicate linee di chitarra acustica di Mussida, che tratteggiano la soffice “Harlequin”. Il tour de force del disco è però nei quasi 8 minuti di “Out Of The Roundabout”, dove il piano e elettrico e la chitarra restano sullo sfondo, lasciando più spazio al canto di Lanzetti.
Nel 1976 la band parte per un tour mondiale che la porta in Usa, Canada, Giappone e Inghilterra. Memorabili l’esibizione alla Royal Albert Hall e la visita inaspettata da parte della regina Madre durante le prove. Al termine del tour, Mauro Pagani decide di lasciare la band per dedicarsi allo studio e all’insegnamento. Successivamente, avrebbe intrapreso la carriera solista, collaborando anche in “Creuza De Ma“, capolavoro “etnico” di Fabrizio De André (1984). L’abbandono di Pagani colpisce al cuore la Pfm, che raramente riuscirà in futuro a ritrovare il filo della sua musica.
Dopo aver reclutato Greg Bloch, il violinista di Mark Almond e It’s A Beautiful Day, la band parte per la California, dove registra Jet Lag e intraprende la quarta e ultima tournée americana. In questo periodo la Pfm entra in contatto con personaggi come Frank Zappa, Jaco Pastorius, Billy Chobam, Lenny White e molti altri esponenti del giro rock-jazz della West Coast. Jet Lag è l’ultimo album progressive della band, anche se è assai evidente l’influenza jazz-fusion. Una combinazione che sembra per un attimo rianimare il sound della band, come testimoniano l’efficace interplay di piano elettrico e violino nella lunga title track (9’13”) e la ritrovata verve dello strumentale “Left Handed Theory”. I tempi, tuttavia, non sono favorevoli: la prima stagione del prog sta per esalare l’ultimo respiro, il fenomeno punk è alle porte e il mercato discografico è dominato dai ritmi della dance. Tuttavia, la critica premia il coraggio di un progetto originale, finalizzato a una inedita contaminazione tra le essenze mediterranee e il linguaggio rock-jazz di matrice West Coast. E la cover di Jet Lag trova posto nel libro “The illustrate history of the Rock Album Covers”, che raccoglie le più belle copertine del mondo. Con Jet Lag nasce anche l’etichetta della Pfm, la Zoo records, che si propone di fungere da laboratorio e punto di incontro per le nuove correnti musicali italiane.
Il 1978 è l’anno di Passpartù, prodotto dalla Zoo Records. Il disco assume sembianze più acustiche, con un ritorno alla stesura di testi in italiano. Per la sua realizzazione, la Pfm si avvale della collaborazione di importanti musicisti, come Roberto Colombo e Claudio Pascoli, ma anche della grafica di Andrea Pazienza e dei testi di Gianfranco Manfredi. Le tracce sono più brevi, ma mostrano un approccio ancor più “free”, soprattutto negli intrecci flauto-violino, che tendono talvolta a prevalere sui consueti tappeti di piano e tastiere. I risultati, tuttavia, non sono adeguati alle aspettative, e la Zoo Records deve chiudere bottega.
E’ il primo segno di un calo di popolarità della band, che inizia a dedicarsi soprattutto a collaborazioni con altri artisti, come Gianna Nannini e lo stesso Fabrizio De André, incontrato in Sardegna. Con quest’ultimo, in particolare, nasce un’intesa formidabile che porta alla pubblicazione di due album live: in essi, le canzoni del cantautore genovese, riarrangiate dalla Pfm, acquistano un sapore del tutto nuovo. Da quel momento, in tutti i successivi concerti, De André vorrà che quei pezzi siano suonati così, senza cambiare neanche una virgola. Lanzetti, non presente nel tour con De André, decide di intraprendere la carriera solista, lasciando il posto a Lucio Fabbri, grande vocalist e polistrumentista. Quest’ultimo esordisce proprio nel memorabile concerto in onore di Demetrio Stratos.
Negli anni Ottanta, la Pfm ridimensiona le proprie ambizioni, producendo pochi dischi, pervasi da un’atmosfera tutta italiana, sia per i testi sia per le musiche. Nel 1980 viene pubblicato Suonare suonare, un autobiografico album di raffinato pop-rock, caratterizzato da un condensato di chitarre elettriche e tastiere, in cui si rispetta la forma-canzone al cento per cento. Tra le tracce, si segnalano “Si Può Fare”, con il suo battito sostenuto e il suo arrangiamento per chitarra, violino e synth, “Topolino”, divertente numero di Mussida con una graziosa linea melodica, e “Sogno Americano”, forte di un brioso ritornello.
Il vocalist principale diviene Franz Di Cioccio, il quale avrebbe presto dimostrato anche le proprie qualità di frontman nelle esibizioni dal vivo. Esibizioni che vedono Walter Calloni alla batteria, oltre al già menzionato Lucio Fabbri al canto.
Proprio in quel periodo, però, avviene la dipartita di un altro dei pilastri fondamentali della Pfm, Flavio Premoli. Una perdita che peserà notevolmente sul successivo percorso del gruppo nel decennio a venire. Il successivo Come ti va in riva alla città, prodotto anch’esso dalla Numero Uno e interamente scritto dal trio Di Cioccio-Djivas-Mussida, si fonda sulla stessa struttura standard-rock del precedente, e racconta il disagio giovanile in una serie di piccoli bozzetti metropolitani, tra i quali emerge il singolo “Chi ha paura della notte”, che ottiene un buon successo commerciale. L’esito complessivo, però, è decisamente mediocre. L’album viene stroncato dalla critica, ma incontra un buon successo di pubblico nella sua esecuzione dal vivo, grazie anche alla grinta di Di Cioccio nei panni di ormai affermato frontman del gruppo.
Il doppio live Performance (il terzo della loro carriera), che racchiude molte perle degli anni Settanta, è del 1982. Dopo la pubblicazione di P.F.M.? P.F.M.! (1984) e Miss Baker (1987), i componenti della Pfm decidono di rinunciare alle esibizioni live, per dedicarsi maggiormente alle proprie esperienze soliste e alle collaborazioni con altri artisti. In realtà, però, la Pfm non si scioglie mai ufficialmente e, nel corso degli anni Novanta, riprende sporadicamente le sue performance dal vivo.
Nel 1996, il ritorno del gruppo è anticipato dall’uscita di “10 anni live”, primo bootleg ufficiale costituito da un cofanetto quadruplo, che ottiene ottimi riscontri di critica. Viene inoltre pubblicato “Due volte nella vita”, un libro in cui Di Cioccio racconta la storia della Pfm, sia sul palco sia fuori dalle scene. Finalmente, nel 1997 (dopo ben dieci anni!), esce un album di canzoni nuove: Ulisse. Per l’occasione viene riproposto il quartetto formato da Mussida, Di Cioccio, Djivas e lo stesso Premoli. Ulisse è una sorta di concept-album in cui ciascun componente del gruppo racconta le proprie esperienze. Viene premiato con il disco d’oro, consegnato alla band durante un megaconcerto a Roma.
Dopo altri concerti e un album live, www.pfmpfm.it, la band registra in studio Serendipity (2001), prodotto da Corrado Rustici. L’album riporta in auge la vena sperimentale del gruppo, con un concentrato di sonorità nuove che rappresentano ammodernamenti di quelle più tradizionali, e che dimostrano una ritrovata creatività. Il brano “K.N.A.”, ad esempio, riprende il sound beatlesiano in una chiave del tutto peculiare. Importanti sono anche i contributi di personaggi d’eccezione: Fernanda Pivano, Franco Battiato e Juri Camisasca, Daniele Silvestri e Pasquale Panella.
Il 2002, anno del trentennale della formazione, è un anno denso di concerti a livello internazionale. L’ultima tappa del tour, quella di Tokyo, viene registrata in un album e in un Dvd dal titolo PFM Live in Japan 2002.
Il 29 agosto del 2003, durante la manifestazione “Siena: la città aromatica”, la Pfm tiene un concerto in Piazza del Campo, insieme al vecchio compagno di avventure: Mauro Pagani. L’esibizione è un successo e viene riportata in un album live nel gennaio del 2005, intitolato Piazza del Campo.
Il 2021 è l’anno di I Dreamed Of Electric Sheep, un ambizioso concept ideato da Di Cioccio e Djivas volto ad analizzare il mondo attuale tangibilmente comandato dalla tecnologia, protagonista assoluta di ogni aspetto della vita quotidiana.
Proprio come si chiedeva Philip K. Dick (richiamato direttamente in causa nel titolo dell’album), anche Di Cioccio e Djivas si pongono alcuni quesiti esistenziali che raffrontano la realtà odierna con quelli che sembravano essere solo scenari visibili nei film o letti nei libri, invitando ad alimentare la speranza di tornare a vivere di emozioni e di rapporti reali e lasciare da parte l’approccio virtuale giunto a gestire anche settori che non s’immaginava potessero esserne coinvolti.
Con i prestigiosi featuring di Steve Hackett e Ian Anderson (“Il respiro del tempo”) e la rimpatriata temporanea di Flavio Premoli nella jam “Transumanza”, le sezioni che si lasciano preferire sono quelle strumentali, dove la classe della band emerge intatta.
Protagonista di una continua sperimentazione sonora, stimolata anche dai continui ricambi nella sua line-up, la Premiata Forneria Marconi è ormai una istituzione del progressive italiano. E la sua avventura oltre i confini nazionali le è valsa anche un posto nell’enciclopedia universale del rock.
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